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Prosciutto Prosciutto: elogio all’erotismo come arte culinaria

1992, Venezia: il regista spagnolo Juan José Bigas Luna (1946 – 2013) vince il Leone d’Argento con il film che ha segnato il debutto di Penelope Cruz. Stiamo parlando di Prosciutto Prosciutto, (titolo originale Jamòn Jamòn), commedia ambientata in un entroterra spagnolo desolato e annichilente al cui centro si snodano le vicende di personaggi appartenenti a una società gerarchica che è limbo di pulsioni primitive e stravaganti.

La sensuale Silvia (Penelope Cruz), il cui corpo indugia in una perenne infanzia dettata dai sensi, è incinta di José Luis, rampollo di una famiglia benestante al cui vertice troviamo Conchita (Stefania Sandrelli), proprietaria di una famosa azienda di mutande. È in una delle prime scene del film che vediamo Raul (Javier Bardem), responsabile della distribuzione di prosciutti che sogna di diventare torero, candidarsi come protagonista della prossima campagna pubblicitaria dell’azienda di Conchita.

Simbolo della potenza orgastica maschile, Raul sfida i tori da nudo, mangia aglio a spicchi, vive di una fisicità prorompente. Proprio a lui Conchita si rivolgerà per spezzare il legame che lega suo figlio José Luis e l’odiatissima Silvia.

Ad ostacolare il matrimonio tra José Luis e Silvia non sarà solo Conchita, né l’appartenenza dei due a ceti sociali completamente anteposti, né il fatto che Silvia sia figlia di una nota ex prostituta. Sarà invece la puerile incapacità di José Luis di svincolarsi dal rapporto simbiotico con la madre, a spingere Silvia verso un uomo completamente diverso da lui: appunto, Raul.

Silvia è restia nel concedersi a un uomo così rozzo e prepotente, sicuro di sé a tal punto da lasciarsi andare a qualsiasi esagerazione nei suoi confronti, dai semplici nomignoli con cui la interpella alle vere e proprie invasioni della sua intimità. Raul, nella totale goliardia di quello che è un tentativo di conquista per cui è stato pagato dall’ostinatissima Conchita, finirà poco a poco per innamorarsi di Silvia, e quella che dapprima era per lui una fonte di guadagno poco impegnativa prenderà una piega inaspettata.

Sarà la stessa Conchita a innamorarsi di Raul: finirà per abbandonarsi a lui sempre più profondamente, e tenterà di trattenerlo al suo fianco per mezzo dei soldi di cui è piena. Raul otterrà così una costosissima moto con cui sfreccerà a casa di Silvia, finendo per provocare un incidente al culmine del quale la ragazza, in preda alla preoccupazione, gli confesserà di amarlo.

Da questo momento in poi le relazioni dei personaggi andranno lentamente sfaldandosi: se da un lato è innegabile l’amore che lega Raul e Silvia, dall’altro il sommarsi di cose non dette sarà fonte di sofferenza per entrambi. Ma questo viene tralasciato e offuscato dalla dilagante sessualità, svincolata dagli affetti e puramente fisica, che libera e al contempo intrappola gli stessi personaggi.

In Prosciutto Prosciutto alla mera fisicità si accostano tutti gli altri sensi in un connubio inestricabile che è la stessa forza generatrice della vita. Parliamo dell’odore pungente di aglio di cui Raul è ingordo, a quello dei prosciutti che lui stesso distribuisce, simbolo della carne e della corporeità che ritroviamo poi in Silvia, il cui seno sa di tortillas, la sua specialità, e patate, cipolle, e ovviamente, di prosciutto, come ripetono tutti gli uomini che vogliono mangiarla tutta. L’accostamento emblematico del prosciutto ai genitali è un esempio culminante del labile confine che intercorre tra dramma e comicità in questa sgangherata e grottesca pellicola.

Ciò a cui Silvia cede, nella completa ingenuità che la denota, è il richiamo di questa fisicità tanto primitiva e invadente, in cui Conchita stessa annega. E allora José Luis, colpito nell’orgoglio, non vorrà vendicarsi con Raul solo per avergli rubato Silvia: potremmo vedere nella sua vendetta una gelosia incestuosa nei confronti della stessa madre Conchita, o ancora, l’invidia per una virilità che a lui non appartiene, e contro cui si scaglierà simbolicamente colpendo, nella lotta finale contro Raul, il suo stesso membro.

Fondamentale è la presenza di elementi ludici e infantili, come lo stesso maialetto che Raul investirà con la moto, agghindato con collanine dalle due sorelle minori di Silvia, partecipi della vita peccaminosa della madre ex prostituta che non ha mai perso il vizio e che invece si scoprirà complice di una relazione fondata sul sesso con lo stesso José Luis. Questa giocosità e superficialità di fondo, che lascia ogni cosa irrisolta, è ricorrente per tutta la durata del film, in quanto elemento necessario alla componente sessuale che permea le scene e i rapporti tra i personaggi.

Il richiamo alla commedia dell’arte e ai suoi personaggi stereotipati, le cosiddette macchiette che ai protagonisti di Prosciutto Prosciutto si addicono così bene, s’intreccia a un moderno e sfacciato nonsense che ha la sua ragione di esistere unicamente in se stesso, nella solitudine pulsionale di una terra dimenticata da dio, nella cui profondità regna sovrano l’Es freudiano, scevro da qualsiasi spiegazione logica e razionale.

Sebbene la critica si divida nei riguardi di Prosciutto Prosciutto, non si può ignorare la sua originalità in fatto di elementi sensoriali e visivi che rimangono impressi nello spettatore. Le perle di Conchita ricorrono come un leitmotiv, sono bianche come gli spicchi d’aglio il cui sapore si accumula tra i sospiri di Silvia, Conchita e Raul. L’organo riproduttivo maschile è richiamato fin dalle prime inquadrature, e ritorna quando José Luis stacca a suon di pugni i testicoli in plastica del grande Toro di Osborne di Alicante, simbolo della Spagna e, in questo specifico caso, della virilità che a José Luis manca e di cui invece Raul è pienamente dotato.

Un film erotico, passionale, ironico e a tratti grottesco, in grado di richiamare registi come Federico Fellini e Pedro Almodòvar, nella raffinatezza dei particolari, dei colori: delle sensazioni ed emozioni umane, riportate alla loro condizione antidiluviana e istintuale. In esse, i personaggi vivono e annaspano, così come noi facciamo, intimamente, nelle nostre stesse vite.